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Recensione del romanzo “L’educazione” di Tara Westover
È stato pubblicato nel 2018 da Random House negli Stati Uniti col titolo Educated e da Feltrinelli in Italia.
E se gli anni della tua infanzia fossero stati talmente dolorosi e paradossali che tu sai che se provassi a raccontarli nessuno ci crederebbe? E se questi avessero prodotto un animo creativo, delicato e capace, come quello di Tara Westover? Probabilmente, come lei, pur essendo una scrittrice superlativa, ci avresti impiegato più di un decennio a scriverne.
Infatti, di romanzi come Educated ne nascono pochi. Romanzi che richiedono tempo e profonda analisi personale. Un’autobiografia autentica, intensa e provocatoria, perché oltre al destino della protagonista, è inevitabile riflettere sull’ambiente culturale ma soprattutto famigliare che la circonda: una zona del sud-est dell’Idaho popolata da comunità di mormoni, ai piedi di una grande montagna, isolata dal mondo in molti sensi.
Tenero e durissimo allo stesso tempo.
Sapere che il racconto di Tara Westover, che parte dalla propria infanzia per arrivare intorno ai suoi vent’anni, è pura autobiografia, fa la differenza. In questa storia, fin dall’inizio, si tifa per la protagonista, ci si identifica a prescindere. Si soffre, ci si umilia, si odia e si desidera con lei.
Volevo andarmene dalla discarica e c’era solo un modo per farlo, lo stesso che aveva usato Audrey: trovare un lavoro così non sarei stata a casa quando papà radunava la squadra di lavoro. Il problema era che avevo undici anni.
Quando un libro è avvincente e ben scritto come questo, non importa sapere che quel che leggiamo sia accaduta o meno all’autore. Ma in Educated le vicissitudini sono talmente inverosimili, che se non fossero state vissute in prima persona da Tara risulterebbero poco credibili. È vero che in ogni romanzo, anche se lontano dal vissuto dello scrittore, si ritrovano inevitabilmente tracce della sua esperienza e del suo sentire. Ma qui, Tara ha dato vita a qualcosa di straordinario.
Ambientazione del libro
Nelle prime pagine del racconto ho pensato di immergermi in un romanzo storico, una storia distante dal mondo attuale che, non avendo riferimenti di date, ho attribuito per qualche riga a forse cent’anni fa. Invece accade ai giorni nostri, a una bambina nata nel 1986 in una famiglia del Midwest, senza certificato di nascita, ultima di sette figli, tutti, incredibilmente sopravvissuti a un padre difficile da categorizzare.
Ho solo sette anni ma capisco che è questo che rende la mia famiglia diversa. Noi non andiamo a scuola. Papà si preoccupa che il governo lo venga a scoprire e che ci costringa ad andare, ma non potrà perché non è a conoscenza della nostra esistenza. Quattro dei figli dei miei genitori non hanno un certificato di nascita.
All’inizio ho definito quel padre dispotico, poi ottuso, poi violento e infine, mentalmente disturbato. Legato alla religione Mormona, lui decide non solo di non mandare i propri figli a scuola, ma di segregarli il più possibile dal mondo, vietando loro anche l’accesso alle cure mediche, che lui considera come qualcosa di fortemente malvagio. La bambina e i fratelli che ancora abitano in casa, sopravvivono a lavori pesanti in cui spesso rischiano la vita, abusi psicologici, costrizioni illogiche, nonostante l’esempio di una madre colta, che conduce l’attività di ostetrica, che fa loro da insegnante in casa ma che rimane incapace di salvarli dall’insanità del marito.
Stile di scrittura di Tara Westover
Quello di Tara è un racconto di repressione, ignoranza, fanatismo e violenza, che lei riesce a esprimere con chiarezza disarmante. La capacità di analisi e di non-giudizio con cui Tara ripercorre il suo tortuoso vissuto si riflette su una scrittura pura e pulita, che si distingue per delicatezza e onestà. Il racconto parte con passo lieve per raggiungere picchi d’intensità, tensione e commozione, scatenando nel lettore grande empatia e una serie di emozioni contrastanti.
Lo stile di scrittura è incredibilmente essenziale, considerando che chi scrive ha provato tutto sulla propria pelle e si sta mostrando a cuore e a ferite aperte. Non un aggettivo in più, non una descrizione di troppo.
Un’emotività abilmente bilanciata
Oltre ad essere un inno al desiderio di imparare, questo romanzo è una continua acrobazia emotiva della scrittrice atta a bilanciare le verità scomode e vergognose della propria famiglia, col senso di dignità con cui si vorrebbe sempre salvare qualcuno che si ama, qualcuno da cui si deriva. Da un lato, c’è l’umiliazione per la violenza fisica e psicologica subita, dall’altro il desiderio di dare una dignità alle intenzioni di chi dovrebbe volere il nostro bene, cioè il genitore. Al punto da dubitare che i suoi ricordi siano forse frutto della sua stessa fantasia.
Una parte di me crederà sempre che le parole di mio padre siano state le mie.
A sorpresa, il perdono
Seppur pazzo, seppur irrazionale, probabilmente vicino al bipolarismo, suo padre rimane sempre suo padre. Degno di perdono e di comprensione. Tara lotta tra la tentazione di un giudizio feroce e spietato, e quella di spiegare, di giustificare, di poter continuare ad amare chi si è odiato. Ma in questo libro lei non cade in nessuna delle due. E sta proprio qui la sua grande abilità di storyteller. Nella capacità di prendere una vera distanza, di far parlare i fatti, le riflessioni della protagonista, per quanto possibile sfrondate dal giudizio. Cosa che pora ad un solo, faticoso epilogo, quello di capire che il perdono, un perdono che arriva più attraverso l’affezione che la ragione, sia l’unica strada.
L’importanza del sapere
Il bello comunque giunge per Tara, perché il riscatto per lei arriva e la chiave di volta è proprio la Education, l’accesso alla conoscenza. Se pensiamo a quanto diamo per scontato l’accesso all’istruzione, questo libro ci fa riflettere sulla sua importanza, sulla sua indispensabilità come mezzo per qualsiasi cambiamento, che sia questo personale o sociale.
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