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Le sedie dell’esclusività
Osservo le sedie rosse che adopero giornalmente da anni, senza far più caso alla loro provenienza. Una di queste ha un taglio sulla pelle della seduta da quando l’ho comprata, quindici anni fa e d’improvviso ricordo il momento dell’acquisto, in un palazzo in demolizione, polveroso, pieno di carpentieri e rigattieri e radiatori rumorosi che sparavano vapore. Ero al 211 di Pearl street, nella Lower Manhattan. Al primo piano c’era stato il famoso Irish bar Rosie O’Grady’s. Quelle sedie appartenevano a un club che era stato un bordello fin dagli anni ’20. Oltre ad aver trascorso tanto tempo con me, quindi avevano vissuto un bel pezzo di storia di New York.
Parto da Manhattan. Sono poche le città al mondo a essere anche delle isole, e il fatto di essere un’isola è stata condizione determinante dell’evoluzione sociale e economica di Manhattan. Anche se non sembra quando ci si vive, perché si ha l’impressione che il Bronx, per esempio, sia una continuazione di Manhattan, in realtà non lo è, come non lo sono tutti gli altri quartieri di New York: Queens, Brooklyn, Staten Island. Tra questi e Manhattan ci sono acque. Quiete, mosse, ghiacciate, che scorrono e si rincorrono. Più precisamente quelle di due fiumi e di un mare: l’Hudson River e l’East River, entrambi in procinto di gettarsi nell’Oceano Atlantico. In una prospettiva logistica e quindi di mercato immobiliare, il fatto che il centro di New York sia circondato da fiumi e da mare fa un’enorme differenza.
Sei dentro o fuori dall’isola di Manhattan?
Nel periodo in cui io sono arrivata a New York, alla fine degli anni novanta, un detto che categorizzava i newyorchesi diceva “you’re in or you’re out”, sei dentro o sei fuori dall’isola. Se eri dentro, appartenevi a una razza, se eri fuori a un’altra. Quando ti chiedevano dove abitavi, la domanda non era Where do you live? ma Do you live on the Island? Se la risposta era Sì, allora seguivano altre domande. Se la risposta era No, l’interesse su di te stranamente svaniva. In quale punto di Brooklyn e figuriamoci del New Jersey tu abitassi non importava a nessuno, tantomeno chi tu fossi o cosa facevi. Riuscire a vivere a Manhattan era quindi importantissimo, la lotta per rimanere sull’isola era sfrenata. Vivere a Manhattan voleva dire svenarsi, magari sfamarsi con triangoli di piazza da un dollaro, ma occupare un quadratino nel centro più esclusivo del mondo. Non esclusivo in senso di lusso (anche), ma nel senso di cool, di trendy, di alternativo, di avere accesso gratuito allo spettacolo di gente e di incontri che solo lì potevano esistere e succedere. In questi anni le cose sono molto cambiate. Zone di Brooklyn e del Queens che prima erano noiosamente residenziali, possiedono tutto quello che allora caratterizzava Manhattan. Hanno una vita di intrattenimento locale forse più vivace, più autentica e di certo più trendy di quella di Manhattan. I costi proibitivi dell’isola, infatti, non permettono più di svenarsi riuscendo comunque a sopravvivere, obbligano solo a fuggire e a far fuggire soprattutto i giovani.
Lower Manhattan
È comunque dalla punta di Manhattan che tutto è cominciato, per me e per milioni di immigrati come me. Qui sono cominciati gli stanziamenti dei primi immigrati, agli inizi del ‘600. Qui si è costituito il primo mercato lungo la sponda dell’Hudson, Bear Market, nel 1771, che sbaragliò la vendita porta-a-porta dei singoli commercianti; sono nati gli uffici del governo, le prime banche, poi la borsa, istituita nel 1792 da un accordo firmato da 24 broker; e infine i teatri e di conseguenza il mondo dell’intrattenimento. Sono spuntate le prime taverne per le migliaia di impiegati di uffici della zona, dove si bevevano whisky e birra e si accedeva ai piani superiori per trovare liberamente la compagnia di una ragazza con gonne lunghe, frappe bianche, giarrettiere e calze a rete. Eh sì. Perché New York è stata fin da subito la città del divertimento inesauribile per i rampanti businessman.
La genialità nel proporre l’intrattenimento, nella città di New York, è stata sempre quella di fabbricare un senso di esclusività. Credo che il marketing, in America, sia nato prima del prodotto. Congegnare forme di inaccessibilità, riservatezza, di mistero, di inarrivabilità, è stata una delle strategie di vendita più usate, per un certo tipo di prodotti.
Tornando alle sedie, venni a sapere che nella Lower Manhattan erano in procinto di demolire un palazzo in cui 5 piani erano stati un club/bordello appunto “esclusivo,” e che avrebbero aperto una vendita al pubblico della mobilia contenuta, che era quella originale dell’epoca. Era uno dei palazzi più antichi di New York, c’era una disputa per preservarlo, ma era finita con l’accordo che sarebbe stata lasciata intatta solo la facciata, di mattoncini rossi e pilastri di granito, e distrutto tutto il resto. Così sono corsa, quando hanno aperto le porte. Naturalmente era tutto provocatoriamente rosso. Divani di pelle rossa (i famosi divani a mezzaluna con testiera alta), pareti ricoperte di mogano rossiccio, sedie di legno arcuato con imbottitura color rosso, lampade da tavolino con frange rosse, banconi interi di bar, specchi a non finire, sgabelli in acciaio e pelle rossa, gueridon in legno intagliato. Uno spettacolo!
City of Eros
New York, tra i tanti appellativi, è stata anche definita la City of Eros, dove le prostitute si trovavano un po’ dappertutto. Erano soprattutto nei bordelli, ma anche sui balconi dei piccoli teatri in modo che si potessero vedere dalla strada e per chi voleva risparmiare sul prezzo della stanza, prestavano anche servizio a domicilio negli uffici. Gli hotel favorivano le prostitute, che costituivano un servizio in più da offrire al cliente. New York divenne presto la capitale della prostituzione negli Stati Uniti. Perfino da lontano, molte donne trascorrevano qualche mese a New York dove, come prostitute, potevano guadagnare l’intero stipendio di un anno di lavoro. La prostituzione è comunque sempre rimasta illegale a New York. Secondo diversi libri e documenti, la maggior parte delle denunce contro la prostituzione succedevano nelle zone dei piers, cioè dei moli di attracco delle navi, situati proprio lì, nella Lower Manhattan, dove gironzolavano non solo i marinai, ma gli impiegati di banche e finanziarie, e dove si trovavano le mie sedie.
E le cose non sono tanto cambiate. In quella zona ci sono tutt’ora SPA per lo stress degli “impiegati d’ufficio”, popolate soprattutto nei break dal lavoro o immediatamente dopo, prima di rientrare a casa dalla famiglia. Insomma, l’impronta delle attività di intrattenimento della punta del missile, Lower Manhattan, ha mantenuto la sua identità. Ovvero, ha puntato a fornire l’intrattenimento che evidentemente è tutt’ora, dopo 150 anni, il più richiesto dagli uomini d’affari. Allora erano solo uomini, gli impiegati abbienti di questi uffici, ed è deludente dirlo, ma anche sotto questo aspetto le cose non sono tanto cambiate. Nel 2021 la percentuale di donne che lavora nel mondo della finanza con un ruolo manageriale si aggira intorno a un misero 24%. Per il resto, la presenza femminile è alta ma per ruoli come quelli di segretaria e assistente.
L’inaccessibilità vende
Tornando all’esclusività e inaccessibilità, nel bordello che si trovava al 211 di Pearl Street si poteva accedere solo se presentati da almeno due “iscritti” che dovevano garantire il tuo livello di reddito, di appartenenza a certi circoli, di discrezione. I locali notturni e molti ristoranti di Manhattan sono tutt’ora ossessivamente basati su quest’idea. Un esempio della stessa modalità, con contenuto contrario per il criterio di selezione, è quello di alcuni club privati internazionali che offrono spazi di lavoro, ristorazione, cinema e che hanno sedi in diverse città del mondo. Non hanno nulla a che fare con attività illegali, ma ammettono nuovi membri solo se presentati da almeno due iscritti, proprio come per Pearl Street. Solo che al contrario dei club di Wall Street, ammettono solo persone che svolgono lavori creativi ed è noto che tale scelta sia stata fatta per escludere proprio quelli che lavorano nella finanza. Una discriminazione terribile e coraggiosa. Voci di corridoio dicono che sia per evitare che l’interazione tra i membri si riduca solo al business, altri che chi lavora in finanza siano persone noiose e noiosamente vestite. Di certo per rinunciare alle potenzialità di un cliente che guadagna nel mondo della finanza vuol dire essere davvero alternativi. Tanto di cappello!
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