I miei Speakeasy

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26 Ott, 2022

Lo Speakeasy di New York

Io e Jane arriviamo per ultime davanti alla palazzina, ma non intercettiamo nulla che possa assomigliare a un’entrata. L’insegna è quella di un negozio di giocattoli. Poi un ragazzo emerge dal sottosuolo. Parola d’ordine, ci chiede. Forgot my socks, gli dico io. Lui ci fa segno di seguirlo, di non parlare e sorridendo ci ricorda che ogni parola d’ordine vale per una sola sera. Dal marciapiede scendiamo una scala di ferro logora e instabile, attraversiamo il cortile buio, da un lato bidoni dell’immondizia, dall’altro un bocchettone di vapore, odore di detersivo e panni lavati, un topo corre rasentando il muro, finché arriviamo alla porticina, quasi invisibile, che si confonde col muro. Ci guardiamo eccitate. Il brivido del proibito! È questa l’entrata recondita del Back Room, un bar della Lower East Side dove, come per tutti i locali notturni più autentici della città, è molto difficile entrare.

Gli speakeasy e i gangster

Negli Stati Uniti lo Speakeasy è nato intorno agli anni ’20 in seguito a una legge del 1919 che vietava la vendita di “liquori intossicanti”, così definiti dal 18esimo emendamento. Il nome Speakeasy, parla piano, ricorda che per entrare in questi bar illegali non si doveva dare nell’occhio e ci si doveva avvicinare senza creare gruppi o fare schiamazzi. Le facciate degli Speakeasy, come quella del Back Room, erano sempre di copertura. Negozi al dettaglio, hamburgerie, lavanderie, entrate residenziali, e la parola d’ordine era indispensabile.Sono solo due, a New York, gli Speakeasy storici, quelli che esistevano già negli anni del proibizionismo e che sono sopravvissuti fino a oggi. Il Back Room è uno di questi. A quel tempo, cioè intorno agli anni ’20-’30 si chiamava The Back of Reitner’s e fino agli anni ’50 è stato frequentato da famosi gangster come Lucky Luciano, Bugsy Siegel, Meyer Lansky, del quale ritrovo una foto all’interno del locale.

The Back Room, New York

Dentro al Back Room, l’area in cui i gangster tenevano i loro meeting è leggermente rialzata rispetto al bar, dotata di un camino vero con legna che arde, di carta da parati dell’epoca, quattro o cinque poltrone in pelle e un grande tavolo da salotto.

I ragazzi si accalcano davanti al bar. Un barista con bratelle e papillon sorride a tutti senza perdere la calma. Sfodera shaker e strani intrugli, poi passa i drink serviti rigorosamente nelle tazze da caffè, proprio come si doveva fare all’epoca dei veri speakeasy, per celare il più possibile la vendita di liquori.

I divani, rotondi, tappezzati di stoffa damascata, sono quelli originali, così come le lampade alle pareti, la tappezzeria in rilievo e tutti gli oggetti. Dai mappamondi, al pianoforte, ai dipinti giganteschi di damigelle dell’epoca. Esiste addirittura un’antica macchina per guardare mini-filmati proibiti. Come per i futuri juke box, richiedeva una monetina da  5 cents, e da un occhiello, girando una manovella, si poteva godere delle immagini segrete che scorrevano esclusivamente per l’utente pagante.

 

Il mio primo Speakeasy: 1999

La prima volta che sono entrata in uno Speakeasy era il 1999. Mi trovavo su Avenue A, nell’East Village, e il posto era davvero un bar illegale. Non era una storia per promuoverlo. Gli altri amici erano già entrati a scaglioni, come eravamo stati istruiti di fare. Due, tre alla volta, al massimo. Poi bisognava aspettare dieci minuti, camminare nei dintorni e tornare a suonare il campanello meccanico che c’era al centro del piccolo portone. Il campanello era meccanico perché consisteva di un bottone sporgente che attivava un pistillo di ottone che a sua volta toccava una campanella. Non era amplificato, poteva essere sentito solo da qualcuno che si trovava a pochi metri di distanza. Infatti proprio dietro alla porcina c’era qualcuno che ti chiedeva la parola d’ordine. Il nome di questo posto, un vero Speakeasy dove si potevano consumare alcolici anche dopo le quattro di mattina, però non posso rivelarlo. Il mio primo Speakeasy

L’altro era il Please Don’t Tell, Per favore non lo dire. Ma quella sera Jane non si era segnata la parola d’ordine e l’aveva dimenticata. Contiamo troppo sui telefoni! Negli anni ’30 di sicuro la gente non se la dimenticava! Poi sono arrivati gli altri e anche lì, a scaglioni, siamo entrati.

Il Please Don’t Tell è un posto molto carino. È un seminterrato, naturalmente, e vi si accede da un negoziato che fa hotdog. È piccolissimo. Alle pareti spuntano musi di animali imbalsamati come marmotte, orsetti lavatori, un cerbiatto. Un pianoforte è sempre strimpellato da qualcuno anche se la musica è suonata dal dj.

Tutta questa pantomima, comunque, non è un gioco, non è un’imitazione dei passaggi che al tempo del proibizionismo gli avventori dei bar illegali dovevano eseguire per entrare nei bar segreti. È reale. 

Gli Speakeasy di Manhattan, quando io sono arrivata nel 1997-98, non erano solo una reminiscenza dei bar segreti in cui si potevano consumare alcolici illegalmente. Molti erano davvero locali segreti, senza insegna e senza nome, conosciuti solo grazie al passaparola, in cui si potevano consumare alcolici nelle ore in cui in altri bar non lo si poteva più fare. E si poteva ballare dove altrimenti non si sarebbe potuto. Perché dopo le quattro di mattina, a New York, non si possono consumare alcol e non si può ballare. 

 

Il National Crime Syndicate

Se qualcuno, a New York, parla del Back Room, di solito menziona Lansky, il ragioniere di Lucky Luciano, come assiduo frequentatore e organizzatore di incontri. Lansky divenne famoso nel giro della criminalità di tutto il mondo perché fu uno dei fondatori del National Crime Syndicate, l’Associazione Criminale Nazionale, una confederazione di bande criminali di diverse etnie fondata nel 1929 a Atlantic Ciy, New Jersey. Con quell’accordo si allargava la collaborazione della  Mafia Italo-Americana con gruppi di altre nazionalità, come la mafia ebrea, quella irlandese e gruppi criminali afro-americani. Tra gli italo-americani, oltre a Lucky Luciano e John Torrio tra i fondatori, c’erano Al Capone, Frank Scalice, Frank Costello, Albert Anastasia. Il libro di Hickman Powell sulla mafia italiana però, considera Lucky Luciano il primo grande ideatore. Ha infatti per titolo Lucky Luciano, l’uomo che organizzò il crimine in America. 

Esistono ancora a New York dei veri Speakeasy, nel senso che sono locali legali solo fino a una certa ora e diventano illegali dalle quattro di mattina in poi. Cosa vi succede dentro, non si sa mai bene. Ma di questi, non si può parlare.

 

 

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Elena Perazzini

Elena Perazzini

Autore

Elena Perazzini è nata a Rimini e vive a Manhattan, dal 1997. Laureata a Bologna con una tesi in criminologia nel 1999 è stata assistente di Oriana Fallaci a New York presso Rizzoli e producer per Rai International. ..

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