Ricomincio da 300. Dalla ex Unione Sovietica, andare in America negli anni ’90

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7 Mar, 2023

Il miraggio Stati Uniti anni ’90

“Vivere in America,  il Paese libero, aperto, che accoglie tutti. Era questo il sogno di noi ragazzi negli anni ’90,” ricorda Stas con un sorriso di nostalgia “Da Londra, da Tokyo o da Berlino, volevamo tutti andare negli Stati Uniti.”

Stas Iavorski arriva negli Stati Uniti nel 1995 dai Paesi Baltici. Ha 25 anni e non è mai uscito dalla propria nazione. Ha in tasca $300, una piccola valigia, un walkman nello zainetto. Niente di più. Non ha mai studiato l’inglese e non ha alcun contatto in America, un nome a cui fare riferimento, un appoggio dove dormire la prima notte. Solo tanto coraggio e molta voglia di andarsene dal proprio Paese.

L’America non è solo la terra delle libertà, ma “Era il posto dove, a venticinque anni, si voleva andare perché ci si divertiva, e perché si potevano ammirare i fantasmagorici frutti del capitalismo,” mi ribadisce. Stas rincorre furiosamente quella libertà, così come il miraggio del benessere. “L’obbiettivo della mia vita, fin da adolescente, era riuscire a partire per New York.”

Senza nazionalità

Il consiglio degli amici di Riga, dal passaparola di chi è emigrato a New York, è quello di dirigersi a Brighton Beach, il quartiere russo di Brooklyn dove si parla la sua prima lingua. L’Unione Sovietica si è dissolta da qualche anno. Il 25 dicembre 1991 Gorbačëv si è dimesso dalla carica di primo e unico presidente dell’URSS. Le sue dimissioni hanno posto fine ai 74 anni di vita di uno stato che era sorto con la rivoluzione bolscevica del 1917. In molti Paesi che  appartenevano all’Unione Sovietica, come quello di Stas, regna ancora il caos burocratico e politico. La Latvia, infatti, ora non ha un’appartenenza né una sovranità.

E Stas non ha un passaporto valido. O meglio, ha il passaporto dell’Unione Sovietica, cioè quello di una nazione che non esiste più.

No inglese, no Nuovo Mondo

Trascorre due giorni in un ostello, una bettola, poi va a Brighton Beach, come gli hanno consigliato. È un quartiere popolare di Brooklyn, distante più di un’ora da Manhattan, che si sviluppa lungo l’oceano. Ha una spiaggia immensa, una lunga passeggiata in legno, ed è vero: ovunque si parla il russo. È un mattino della fine di marzo, una leggera foschia dalle onde fitte e stizzite sfuma fino alle strade. Negozi e ristoranti hanno insegne in russo. Stas, per un momento, si sente a casa, anche se non era nella piccola Russia di New York che voleva finire. Dovrà avere pazienza, questo lo sa. Il primo passo è trovare un lavoro.

Si sveglia alle sei del mattino. Parte a piedi, entra in tutti i ristoranti che incontra. “È troppo presto, a quell’ora si fanno ancora le pulizie, i proprietari non ci sono!” Finalmente, nel pomeriggio, viene assunto come lavapiatti. Si presenta all’orario stabilito, impara il funzionamento delle macchine, alla fine porta fuori l’immondizia, i ratti popolano il marciapiede, finisce il turno, rientra nella stanza puzzolente e rumorosa. Il giorno dopo andrà dal proprietario a scusarsi, che non tornerà. Troppo dura, non fa per lui. Ora però non ha più soldi nemmeno per l’ostello di Brooklyn. Chiama sua madre che senza di lui è molto triste. Gli chiede di tornare a Riga: adesso hanno una casa di proprietà e lui ha un futuro garantito. Ma Stas non ci pensa nemmeno. Ci ha impiegato tre mesi di trafile burocratiche per poter partire.

Partire per New York

Con poche carte da giocarsi e tanta convinzione, si era presentato al colloquio all’ambasciata americana della Lettonia per ottenere il visto per una vacanza negli Stati Uniti. Aveva dimostrato di provare grande passione per i musical di Broadway avendo già acquistato i biglietti per due spettacoli: “Il fantasma dell’opera” e “Cats”. Le sue carte erano poche, ma buone. Stas viene da una buona famiglia. Il padre lavorava per il governo e la madre è preside di una scuola. Il padre è mancato pochi anni prima. Ha potuto dimostrare di avere i mezzi per fare un viaggio a New York e di avere legami forti, sia materiali che morali, con la propria nazione, che garantivano che sarebbe tornato. Il visto viene miracolosamente approvato. Nonostante lo sconforto della madre alla quale è fortemente legato, Stas ha avuto il coraggio di salire su quell’aereo per New York con soli $300 in tasca.

Ostelli, divani e perseveranza

Per vivere a New York, il primo comandamento è: adattarsi a tutto. Un cameriere del ristorante gli trova posto sul divano di un amico, sempre pagando, ma meno. Stas deve trovare un lavoro migliore. Prova come aiuto cameriere, comincia a lavorare sette giorni su sette e dopo due mesi di divano, riesce ad affittare una stanza tutta sua. Piccola, angusta, con una finestra che guarda un distributore di benzina. Rumori di clacson, camion che sostano per lungo tempo, puzzo di scarico, di carburante. Non può aprire la finestra. È già estate e la stanza non ha l’aria condizionata. Un incubo. I peggiori mesi della sua vita.

Dopo altri due mesi è riuscito a mettere da parte un po’ di soldi. Finalmente riesce a spostarsi, ad affittare una stanza più vivibile. Ma non può rimanere nella piccola Russia. Tutti gli dicono che a Manhattan si guadagna molto di più. Intanto ha imparato un po’ di inglese, anche se non è ancora al livello di poter fare il cameriere. Ma lui ci prova lo stesso e viene licenziato dopo la prima sera. Ricomincia a fare il comì in un altro ristorante e dopo qualche mese ci riprova. Questa volta in un bel quartiere, l’Upper East Side, zona ricca, di gente di mezza età e tanti anziani. Tutti sembrano pieni di soldi. In un ristorante italiano aperto da egiziani, il suo inglese sembra essere sufficiente. Stas viene assunto come cameriere e la sua situazione finanziaria cambia radicalmente. Innanzitutto perché si dimostra essere anche un ottimo barista – e al bar le mance sono buone- poi perché piace ai clienti, il suo modo è compunto, professionale ma estremamente cordiale, intuisce con chi ha a che fare, sa quando sfoderare una battuta e quando invece vanno mantenute le distanze. E poi, vuole lavorare il più possibile.

Sette su sette

Passa due estati lavorando sette giorni su sette a doppio turno, pranzo e cena. Ha due ore libere nel pomeriggio. L’unica cosa che può fare in quel poco tempo è camminare fino a Central Park. In quei mesi il parco è al meglio di sé, particolarmente verde, quasi accecante. Gente che scivola allegra sui rollerblade, turisti che gracchiano risate, ciclisti, podisti, cavalli e carrozze che popolano un dipinto di vitalità e spensieratezza. Lui si siede sotto un albero, prova a chiudere gli occhi, ma non ci riesce. Adrenalina, eccitazione, fatica. Deve tener duro. Il profumo della terra lo isola per qualche istante da tutto.

Opportunità in America: due drink e una svolta

Una sera di poco lavoro, parcheggiano davanti al ristorante due tipi bizzarri. Stas non è di buon umore. Per un cameriere a New York, una serata tranquilla, vuole dire poche mance, quindi paga bassa. La moto della coppia è una Harley Davidson, lui è un tipo cordiale, codino brizzolato e barba, indossa la t-shirt sbiadita di un concerto, jeans neri, bracciali con borchie, stivali da moto. Lei colorata. Gonna allegra, maglietta casual. C’è tempo per chiacchierare. Stas passa la serata a conoscerli. Dopo qualche giorno tornano. È sempre una serata in cui c’è poco da fare. È piena estate. L’Upper West Side si svuota, la gente va fuori città, in vacanza. Stas ricorda perfettamente quello che hanno bevuto, e prima che abbiano tempo di chiederlo, gli serve i drink che avevano ordinato la volta precedente. I due clienti rimangono colpiti. L’uomo gli fa domande sulla sua storia e poi lancia “Lavorerai per noi!” Stas sorride, ringrazia del complimento, ma la coppia sottolinea che non si tratta di un complimento bensì di una vera intenzione. Prima di andarsene, gli lasciano il loro biglietto da visita. Sono seri. Vogliono incontrarlo in ufficio per parlare.

La proposta arriva qualche settimana dopo. Sono proprietari di una società che affitta spazi per prove di spettacoli, soprattutto Broadway, per produzioni video e audizioni. Hanno bisogno di un responsabile e stanno pensando a lui. Contano sulla sua capacità di curare bene i clienti, sull’affidabilità e sulla fiducia. Ci credono, dicono, sentono di potersi fidare di lui, anche se non si conoscono bene. Stas, però, non ha ancora risolto la sua situazione burocratica e loro promettono di aiutarlo.

Green Card: un mutuo per spese legali

Quando pensi di avercela fatta, a New York, è il momento in cui vieni messo alla prova.

Il nuovo lavoro è entusiasmante, Stas impara in fretta, le mansioni che gli vengono attribuite sono sempre di maggior responsabilità. Ma il suo stato di immigrazione sembra non potersi risolvere. Stas ha il passaporto di una nazione inesistente, la Russia, e proviene da una nazione che ancora non esiste, che non ha un consolato negli Stati Uniti. È quindi una persona senza nazionalità. I primi avvocati provano a richiedere l’asilo politico, ma viene loro negato. Non sanno come risolvere altrimenti la situazione. La burocrazia americana sembra non prevedere un caso come il suo. Stas si affida a un rinomato studio legale di Washington e dovrà prendere un mutuo in banca per pagare le spese legali. 

Dopo dieci anni, ottiene finalmente la Green Card e oggi è cittadino americano.

Russia e Ucraina, tra radici e lontananza.

Le sue radici rimangono a Riga, il suo background tra Russia e Ucraina, da dove provengono sua madre e suo padre. Parte della sua famiglia si trova tutt’ora nell’Ucraina dell’ovest tra cui  due bambini gemelli, figli di un suo cugino, di cui lui è il padrino. Sono una famiglia benestante che dopo un anno dalla guerra insiste nel non volersene andare. “Avrebbero l’opportunità, ma non vogliono lasciare il loro Paese” mi racconta Stas, “hanno costruito tutta la loro vita lì, li capisco.” Per Stas è complesso parlare dell’invasione Russa in Ucraina. Lui ha conosciuto il regime dell’Unione Sovietica e nonostante questa fosse crollata, quando è partito, ne riconosce la durezza e il senso di oppressione. Sono ricordi lontani, però, ricordi che ha scacciato, che tornando a Riga in vacanza ogni anno, sembravano superati. Mentre ora, la preoccupazione per i famigliari in Ucraina ha fatto riemergere molte cose, ha tenuto svegli lui e sua madre per molte notti. Ma lui preferisce evitare giudizi. “Le guerre accadono ovunque, solo che questa è più vicina all’occidente”, è la cosa con cui conclude i suoi commenti.

Con gli anni, Stas è riuscito a portare sua madre negli Stati Uniti e a ottenere anche per lei la Green Card, regalandole una nuova, seconda vita. La sua famiglia americana, invece è tra New York e la Colombia, Paese di origine di suo marito, conosciuto dopo due anni dal suo arrivo nella Big Apple, con cui, da oltre vent’anni, condivide la vita. 

L’esperienza di Stas è raccontata con dettagli diversi, anche nella sua video intervista FROM NO COUNTRY TO NEW YORK che verrà pubblicata tra qualche giorno.

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Elena Perazzini

Elena Perazzini

Autore

Elena Perazzini è nata a Rimini e vive a Manhattan, dal 1997. Laureata a Bologna con una tesi in criminologia nel 1999 è stata assistente di Oriana Fallaci a New York presso Rizzoli e producer per Rai International. ..

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