Ecco il mio incontro con uno dei tanti tassisti di New York.

Dal caos di Penn Station un signore anziano con un codino da rockstar mi fa entrare nel suo mondo. L’abitacolo del suo SUV, musica jazz, gente notturna e terre lontane. Da ventidue anni fa l’autista indipendente, utilizzando la sua auto ormai datata, cercando di battere sul prezzo i concorrenti con auto fiammanti in leasing.

Mi racconta del jazz, di come questa musica lo riempia di gioia, gli trasmetta buon umore, poi di sua moglie, che mentre siamo in strada lo chiama per accertarsi che tutto vada bene, e dei suoi turni di notte, che ha scelto perché nel traffico diurno non si sente a suo agio e perché c’è meno polizia, così evita le multe.

Incontri notturni in taxi.

Incontra gente strana di notte, gente che fa lavori fuori dall’ordinario, mi dice. Per esempio giovani ragazze che fanno le escort, che nel suo taxi parlano apertamente per accordarsi coi clienti. E poi molti artisti. Musicisti, soprattutto. Le ragazze gli fanno tristezza “sono troppo giovani!” esclama, ma lasciano buone mance. I musicisti, invece, poche mance. Sono squattrinati, sempre un po’ frustrati, ma mi sembrano felici. Fuori dal video mi confessa anche di lavorare, spesso, quattordici ore a notte e di essere fiero di poter mandare aiuti ai suoi famigliari in India. Lui non disdegna questi ritmi di vita: tornare a casa al mattino, pranzare, poi coricarsi quando il resto del mondo comincia la giornata. Ma soprattutto è fiero di essere un uomo indipendente.

Una vita al contrario. Ma senza essere schiavo di nessuno.

Mi parla del suo Punjab, verde e ricco di acqua, nel quale ha acquistato terreni e dove tornerà presto. Un luogo che è casa sua, al quale pensa sempre, perché New York non è mai diventato casa, ma solo un posto dove guadagnare.

È gentile, educato, ma come ogni taxi driver newyorchese, so che spera tanto che gli arriverà una buona mancia.